MESSA IN COENA DOMINI

Omelia del Vescovo Carlo

 

            Siamo nelle giornate della memoria che è più cara ad ogni cristiano: il triduo pasquale, centro di tutto il mistero cristiano. La stessa nascita di Gesù a Betlemme sarebbe incomprensibile senza il mistero della morte e resurrezione del Signore Gesù. La sua stessa nascita è l’inizio dell’abbassamento sommo di Dio, della sua completa donazione di amore a noi fragili esseri umani. Ma, appunto, è solo l’inizio.

            Questa sera, facendo memoriale dell’ultima cena di Gesù con i suoi apostoli prima di essere tradito da uno di essi, vorremmo entrare anche noi a partecipare a questo momento, tra i più intimi vissuti da Gesù con color che ha scelto per essere portatori del suo Vangelo in tutto il mondo. Vorremmo poterci sedere a tavola, ascoltare avidamente la spiegazione di quella sua ultima cena, farci timidamente lavare i piedi da Lui (perché siamo sinceri noi ne abbiamo bisogno). Non oseremmo dirgli tante parole di fronte alla solennità del momento, ma offrirgli solo la nostra presenza e sentirci dire quello che ha detto ai suoi apostoli “ho desiderato tanto magiare questa Pasqua con voi”. Quanto è consolante sentire Gesù dire che ha desiderato tanto magiare la Pasqua con noi, con me, con te. Ci basterebbero queste poche parole perché il nostro animo si riempia di gioia intima e profonda.

            Noi ne siamo certi, come le ha dette ai suoi apostoli, questa sera egli queste parole le dice anche a ciascuno di noi: “Ho desiderato tanto mangiare questa pasqua con te”. Ce le ripete ogni volta che noi partecipiamo alla santa messa, la mensa perenne in cui Lui ci dona la sua Parola, il suo corpo e il suo sangue, proprio come in quell’ultima cena.

            “Ho desiderato”: significa un desiderio coltivato a lungo, così come sono stati lunghi i tempi trascorsi da quando Adamo ed Eva si allontanarono dalla mensa di Dio, come sono stati lunghi i tempi da quando, con Abramo, Dio riprese una storia di alleanza nuova preparando lungo i secoli un popolo che fosse a Lui fedele, ma che sempre di nuovo ricadeva nella infedeltà, venendo meno alle promesse. Ma il desiderio di Dio non si lascia spegnere così facilmente come il desiderio umano che perde vigore di fronte al primo ostacolo, proprio perché il suo è un desiderio che nasce da amore vero, che non cerca la propria soddisfazione, ma solo il nostro bene.

            Da sempre Dio ha desiderato il bene dell’essere umano, fin da quando l’ha creato per amore e gli ha donato il mondo intero. L’ha desiderato al punto da arrivare anche a donare se stesso fin quasi all’annientamento della morte in croce, pur di stabilire una comunione non superficiale con noi. Colui che ama veramente e fino in fondo non sia accontenta di una superficiale condivisione di vita, desidera una comunione piena di intenti e di reciproca donazione. Questo è il desiderio di Dio nei nostri confronti. E per il nostro bene, perché sa che senza aprirsi all’amore la nostra vita è spenta di vigore e manca di pienezza. Non solo noi non possiamo vivere senza ricevere amore, ma soprattutto non possiamo vivere senza donare amore.

            Arriviamo, quindi, al senso forse più profondo di questo desiderio che Gesù, quasi con pudore, ci confida questa sera, quasi sussurrando con voce calda: mentre trepidamente ci dichiara il suo amore, ci dice anche “fate questo in memoria di me”. Non chiede nulla per se, il suo amore non ha nulla di egoistico, ma ci invita a fare ‘questo’ e ci dice che fare ‘questo‘ deve essere per noi, come per i suoi apostoli, il modo di conservare la sua memoria.

            Possiamo immediatamente chiederci: che cosa ci invita a fare veramente Gesù? Correttamente è sempre stato inteso, anche dalla primissima comunità cristiana, come la ripetizione dello spezzare il pane, e quindi la celebrazione eucaristica. Infatti i primi cristiani si riunivano per ‘spezzare il pane’ dicono gli Atti degli Apostoli. Gesù stesso, dopo la sua resurrezione, con i discepoli di Emmaus, si è fatto riconoscere nel gesto dello spezzare il pane. Per questo la Chiesa ha sempre conservato la memoria di Gesù con la celebrazione eucaristica, con la quale si rinnova la presenza reale di Gesù nel suo corpo spezzato e nel suo sangue versato: quindi nel mistero pasquale e attraverso questo possiamo continuamente corrispondere al desiderio di Gesù di ‘mangiare la pasqua con noi’.

            Ma possiamo anche chiederci se questo è il tutto perché quel ‘in memoria di me‘ sia vero. Se fosse così, tutto si ridurrebbe a una memoria rituale, a celebrazione di riti e si perderebbe totalmente il fatto che il desiderio di Gesù non si limita al mangiare insieme, ma vuole giungere a una comunione di vita. Cosa sarebbe il mangiare insieme senza comunione di vita? Si dimenticherebbe che la Pasqua di Gesù è la donazione della sua vita per amore, che quel corpo è un corpo donato e che quel sangue è un sangue versato per amore. Si farebbe memoria di un pasto che non introduce nella vita donata di Gesù.

            Ecco allora il senso più profondo del desiderio di Gesù: Ho desiderato tanto che voi facciate come me, viviate come me, vi doniate nella vita con amore e, quando lo fate, voi tenete viva la mia memoria nel mondo. Si potrebbe dire “tenete vivo me nel mondo”. Certamente Dio, e Gesù che è suo Figlio unigenito, hanno tanti altri modo di tenere viva la loro memoria nel mondo, ma se noi non la teniamo viva così (cioè, se non non facciamo come Lui -Gesù- ha fatto con tutta la sua vita) la nostra vita manca di pienezza.

            Questo è, infatti, il desiderio di Gesù: “sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Ecco allora quello che Gesù ci confida nell’intimità di questa sua ultima cena a cui abbiamo avuto il privilegio di partecipare: “fate, vivete come ho fatto io, e avrete la vita in abbondanza”, quella del risorto, quella che Adamo ed Eva hanno perso lasciando il paradiso terrestre.

+ Carlo Bresciani

Email this to someoneShare on FacebookShare on Google+Tweet about this on TwitterShare on LinkedInPrint this page