AI MIEI SACERDOTI

Omelia Messa Crismali

 

Carissimi confratelli nel sacerdozio,

                                                           in questo giorno del giovedì santo, tanto caro a tutti noi sacerdoti, mi è grato fermarmi con voi per alcuni momenti di meditazione sul grande ministero che Dio ha avuto la benevolenza di affidarci per il bene della suo corpo che è la Chiesa. Godiamo di questo particolare amore che Dio ha avuto nei nostri confronti, chiamandoci ad essere partecipi della sua missione e condividiamola con passione come hanno fatto gli apostoli che prontamente hanno risposto al suo invito.

            Gesù ci ha guardato con occhi di benevolenza come ha guardato il giovane ricco e ci ha invitato a seguirlo; ha messo la sua mano sulla nostra bocca come ha fatto con il sordomuto e ci ha inviato ad annunciare la Buona Novella; ci ha fatto scendere dall’albero come ha fatto con Zaccheo e si è fermato a casa nostra; ci ha invitato a salire con lui nella barca per diventare pescatori di uomini e ci ha esortato a prendere il largo. Lasciamoci nutrire da questa vicinanza amorevole di Gesù, facendo riposare il nostro spirito in questa comunione d’amore. Lasciamo che il suo sguardo di benevolenza sciolga le freddezze e le resistenze che ancora persistono dentro di noi e scaldi il nostro cuore alla passione per le cose di Dio.

            In questo giorno santo noi ci sentiamo come gli apostoli raccolti insieme intorno alla mensa, in ascolto della sua parola, in un dialogo intimo con lui, ci sentiamo invitati a salire al ‘piano superiore’ per celebrare la Pasqua insieme con Lui. Ecco, siamo invitati da Lui a salire al piano superiore. Non sto pensando al piano fisico del fabbricato, su cui è facile salire, ma al piano superiore della nostra vita spirituale e pastorale di presbiteri, quello che lui ha indicato agli apostoli nell’ultimo suo insegnamento attorno alla tavola dell’ultima cena, insegnamento che non abbiamo mai finito di meditare e dimettere in atto.

            Cosa può significare per noi oggi, carissimi confratelli nel sacerdozio, salire al piano superiore per essere davvero con Lui a celebrare la Pasqua? Probabilmente molte cose, e certamente ognuno di noi ha una sua salita particolare da fare, magari con la fatica di gambe che reggono a mala pena e con l’impressione del fiato corto. Ma sappiamo che al piano superiore c’è Lui che ci aspetta e ci accoglie.

            Salire indica distacco da quel piano terra che calpestiamo ogni giorno; significa guardare le cose con gli occhi di Dio; staccarci interiormente da quel suolo che ha lasciato ferite sui nostri piedi bisognosi di essere lavati da Gesù e di essere unti con l’unguento che risana le ferite. Sì, abbiamo ferite che non saranno mai risanate da nessuno se non saliamo al piano superiore e non mettiamo la nostra storia personale e di Chiesa nelle mani di Gesù. Facciamo come gli apostoli che hanno posto i loro piedi nelle Sue mani. Se non facciamo così, anche per noi è la risposta di Gesù al reticente Pietro: “se non ti laverò i piedi, non avrai parte con me” (Gv 13, 8).

            Gesù invita i suoi apostoli a salire insieme a Lui al piano superiore per affidare loro la Chiesa che scaturisce dal suo corpo e dal suo sangue donato. Salire al piano superiore significa allora non accontentarsi di una vita da piccolo cabotaggio, incapace di prendere il largo lasciando che il soffio dello Spirito riempia le nostre vele, aggrappata agli ormeggi di considerazioni troppo umane e mondane, chiusa in forme più o meno accentuate di individualismo pastorale che creano disarmonia nel corpo di Cristo che è la Chiesa, reticente a donarsi nell’amore come Gesù ha chiesto ai suoi apostoli ancora troppo occupati a chiedersi chi di loro avrebbe avuto i primi posti nel Regno.

            Il piano superiore a cui salire è anche quello di passare da una prospettiva individualistica della sequela a quella di una unità presbiterale che si coordina e che coopera concordemente per realizzare la missione ricevuta da Gesù. Non a caso il discorso di Gesù attorno a quella tavola verte sull’essere uno: non basta partecipare insieme all’unica mensa, essere membri dell’unico presbiterio come lo sono gli apostoli attorno alla mensa dell’ultima cena, occorre anche il camminare insieme. Solo così passiamo al piano superiore della nostra pastorale che è chiamata ad essere sempre più coordinata nella cooperazione e nella corresponsabilità tra presbiteri e tra presbiteri e laici. Carissimi sacerdoti accettiamo prontamente di salire a questo piano superiore della nostra pastorale, è Gesù stesso che ce lo chiede.

            Già altre volte, prima dell’ultima cena, Gesù aveva invitato i suoi apostoli a salire sul monte per stare con Lui e incontrare il Padre nella preghiera. Occorre salire al piano superiore della preghiera intima con lui se non vogliamo diventare semplici operatori della pastorale privi di un cuore riscaldato dall’amore di Dio, risucchiati nella freddezza di un apostolato senza ignominia, ma anche senza passione, risentito dalle incomprensioni incontrate e dalle inevitabili ferite per le contraddizioni della vita.

            Carissimi sacerdoti, anche noi dobbiamo salire al piano superiore rispondendo prontamente all’invito di Gesù. Celebriamo insieme la gioia di essere presbiteri in questa bella liturgia del giovedì santo, ma rendiamola vera con i necessari riti esplicativi di una vera comunione nel presbiterio diocesano di cui siamo parte in virtù del sacramento. Guardiamo con occhi di fede il nostro essere presbiterio unito al vescovo, senza mai fermarci a pur vere considerazioni umane che ce ne farebbero perdere la profondità sacramentale e la fecondità spirituale. Il mondo guarda al presbiterio con considerazioni puramente sociologiche o psicologiche, ma questo non può essere lo sguardo principale che noi abbiamo su noi stessi, perderemmo la fondamentale azione di Dio in noi senza della quale, noi ben lo sappiamo, saremmo nulla. È il sacramento che ci fa unico presbiterio, non le affinità psicologiche o caratteriali che pure dobbiamo limare per portarle a vivere concretamente l’unità, affinché la sacramentalità non resti nella totale invisibilità.

            Carissimi sacerdoti, il piano superiore è quello di una fiducia totale in Dio che ci fa guardare al confratello non con criteri puramente umani, ma con la benevolenza stessa di Dio e ci fa accettare e condividere il ministero affidatoci non sulla base di opportunità umane, ma sulla fiducia nella sua chiamata attraverso la Chiesa e su Colui del quale siamo diventati seguaci e imitatori e che ci ha promesso di essere con noi fino alla fine del mondo.

            Saliamo insieme a questo piano superiore, aiutiamoci vicendevolmente a salire, perché abbiamo bisogno gli uni degli altri: è Gesù che ce lo chiede. È la Chiesa che ce lo chiede. Ce lo chiedono i fedeli che Dio ci ha affidato. Ce lo chiede il mondo di oggi che ha sete delle cose di Dio e che ci vuole presbiteri autentici, innamorati e desiderosi di stare con Gesù e per questo capaci di indicare anche a loro la strada per salire a questo piano superiore dove poter posare il capo sul petto di Gesù.

            Come è nell’auspicio di papa Francesco, possa ogni persona trovare nei vostri, nostri sguardi le tracce di quelli che “hanno visto il Signore” (Gv 20,25), di quelli che sono stati a mensa con Lui al piano superiore.

            Augurandovi una santa Pasqua, abbraccio con cuore grato ciascuno di voi con il bacio della pace.

                                                                       Il vostro vescovo

+ Carlo Bresciani

San Benedetto, giovedì santo 2016

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