Ad un anno da Cracovia

In questi giorni ritornano a galla le immagini del gemellaggio e della GMG di Cracovia, guardo il calendario e mi accorgo che è già passato un anno. Rivedo quei momenti così penati, desiderati, amati e mi chiedo: cosa ne è rimasto un anno dopo? Cosa è rimasto nel cuore dei ragazzi e nella nostra chiesa? Stare al cospetto di questa domanda è come mettersi davanti ad una scelta drammatica: o avventurarsi nella constatazione solita e semplice del consumo emotivo dell’esperienza e quindi nel giudizio di coloro che hanno partecipato ( e come questo è facile!), oppure guardarsi dentro e chiedersi, o meglio, chiedermi: cosa è rimasto dentro di te?rossi1

Guardo quei giorni e sento tutta la stanchezza del ritorno, rivedo l’ansia del partire, innegabilmente non posso non dire che in quel tempo, il Signore ha usato misericordia alla vita di tutti noi, minando alla radice quelle che potevano essere le nostre più granitiche sicurezze e prassi operative.

Partiamo dal gemellaggio. Il gruppo più “sfigato” di tutte le Marche, 27 tra preti seminaristi e giovani, imparagonabili a tutti i gruppi delle diocesi della regione. In quei giorni scopro che la forza è nel superare la dinamica pagana (che spesso entra nella Chiesa) della logica del “successo –fallimento”. Io non potrò mai dimenticare quel sabato mattino, nella cappella laterale della Chiesa dello Spirito Santo a Chorzów, quelle condivisioni semplici dei giovani, anche di quelli che forse erano arrivati senza sapere perché, esse valevano più di tante mie prediche messe insieme. Se quei 27 avevano intravisto la bellezza della chiesa e si chiedevano il perché di quella gioia insolita, se tutto questo si accompagnava all’epifania dello sguardo e degli occhi che esprimevano qualcosa di non visto prima, veramente il dito di Dio era in mezzo a noi. Sono un prete che segue un Dio che ha fatto del fallimento la via maestra non per rinascere, ma per risorgere e questo trasforma e cambia la prospettiva con cui fare pastorale, con cui evangelizzare, specie tra i ragazzi.

Cosa è rimasto ancora? Che forse, a partire dal sottoscritto, si è spesso segnati dal nostro “provincialismo ecclesiale” che ci fa credere di bastare a noi stessi, da questo limite strutturale che ci portiamo dietro dal quale dobbiamo emanciparci per evitare il rassicurante rifugio delle nostre attività certissime e ormai consolidate, ma che forse rassicurano più noi che coloro ai quali sono rivolte. Far si che i giovani scoprano che la Chiesa è più grande delle nostre parrocchie e movimenti e che questa diversità è ricchezza. Questa diversità di vissuti ecclesiali, di parrocchie, di realtà, alla GMG erano palpabili, ma l’aver camminato come un’unica Chiesa sempre e comunque e l’aver accettato la fatica della concertazione al ben più facile “ognuno si organizzi” , ha mostrato un modello ecclesiale che è oltre il “condominio” e le sempre fantozziane “riunioni di condominio” a cui spesso si riducono i nostri incontri tra le realtà diocesane, con tutti gli annessi e connessi. Vedere la profezia nascosta in quel popolo giovane, la profezia nascosta nella vita dei nostri ragazzi, è trovarli non tanto come futuri membri dei nostri “quadri ecclesiali”, ma uomini e donne che possono trovare nella chiesa, la prova che vale la pena seguire Gesù, perché nella bellezza di questo popolo, hanno trovato un segno tangibile.

Di tutto ciò cosa è rimasto concretamente? Secondo lo schema classico dei risultati certi e verificabili poco o nulla. Non ci sono state frotte di giovani che in maniera entusiastica si sono riversate a vivere i servizi ecclesiali fortemente invocati, forse pochi di loro hanno cominciato a vivere la fede in maniera diversa e qui la nostra storia potrebbe interrompersi dicendo: “Ma chi ve lo fatto fare?”

Se non che l’altro giorno incontro alcuni ragazzi della parrocchia (io li chiamo “diversamente credenti”, credono o non credono forse non lo sanno nemmeno loro, per non parlare dei sacramenti… ma cercano una presenza nella vita della comunità perché sentono di farne parte), e uno di loro e mi dice: “Sai prè, l’altra sera siamo stati a parlà della GMG fino alle 4.00 del mattino e come questo ha cambiato la nostra vita”.

Mi chiedo: ma com’è cambiata la loro vita se tutto è come prima? Perché loro vedono un cambiamento in un racconto quando io in realtà vedo un immobilismo?” Qui si gioca forse il cambiamento di questa GMG: un mondo di ragazzi che chiede una libertà nuova anche nella crescita della fede e nella sua scoperta, che oltre alla goliardia presente ad una GMG portano un ricordo di cambiamento nel cuore che nemmeno loro ancora sanno decifrare ma che interpella la chiesa, chiedendole di custodire questo sogno, nella libertà e senza ricorrere a quella fretta così squisitamente “clericale” di incasellare in uno schema perché venga fuori “il giovane cristiano”.

Come comunità cristiana siamo pronti a tutto questo? Siamo pronti ad una Chiesa dove il giovane “diversamente credente” ha diritto ad esserci e ad avere chi lo custodisca con la sola pretesa di amarlo così come lo ha amato il Signore?

Della GMG è rimasta una grande provocazione per la nostra diocesi, per le nostre comunità parrocchiali: come andare avanti? Come rispondere a F. di 18 anni che scrive così: Offriteci ( e qui mi rivolgo ai vescovi, ai parroci, ai catechisti e ai responsabili della formazione giovanile) la possibilità di essere credenti in modo consapevole e fuori dai dogmatismi, ma anche di essere non credenti e di non essere per questo esclusi dai gruppi di catechesi, come se la religione fosse per pochi. (…) Siate la nostra guida, perché è di una guida che abbiamo bisogno, perché finora ci siamo “fatti da noi”. Siete ancora in tempo per riparare: aiutateci a liberare il nostro futuro, Il coraggio, quello ce lo mettiamo noi. (S. Laffi, a cura di, Quello che dovete sapere di me, Feltrinelli)

Questa nostra amica, simile a tanti altri, è il grido profondo che sale dalla pancia dei giovani della GMG e in queste parole che mi sono tornate tra le mani proprio questa notte, ho ritrovato quello che è rimasto della GMG: la scoperta che quanto lei dice non è poi così diverso da quella chiesa che papa Francesco sempre ci ricorda, una chiesa sporca perché cammina sulle strade più che nei corridoi di palazzo, una chiesa che accetta anche di ridurre il passo se i giovani lo riducono, di farsi anche male con la loro libertà, ma di essere sempre li con loro per liberare il loro futuro, Cristo, il tesoro più grande che abbiamo.

dP

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